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SOLIDARIETÀ – Il ristorante Etnos dà lavoro a giovani disoccupati, disabili e vittime di violenza

Caltanissetta, 1 febbraio 2016 – Si chiama “Un posto tranquillo” e ha aperto circa un anno fa a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. A dargli vita la cooperativa Etnos. Totalmente accessibile offre piatti della tradizione siciliana rivisitati e prodotti biologici e a km zero. Un ristorante dove amore per la buona cucina e solidarietà coabitano in armonia.

 

Nelle sale e in cucina lavorano persone socialmente svantaggiate, come ragazzi affetti dalla sindrome di Down, donne vittime di violenza e giovani disoccupati under 35. “L’idea – racconta Fabio Ruvolo, presidente della cooperativa Etnos capofila del progetto – è nata quasi per caso: al nostro ente mancava l’ultimo tassello per raggiungere la forma più alta di riabilitazione, ossia l’inserimento lavorativo: non avevamo le competenze per occuparci di ristorazione”.

 

“Un posto tranquillo” è stato accreditato come il quattordicesimo miglior progetto sperimentale, tra i mille in tutta Italia, nella categoria” Giovani per il sociale” del Dipartimento Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri e ha ricevuto il cofinanziamento statale che ha permesso la messa a punto di un struttura di 700 metri quadri, totalmente priva di barriere architettoniche e family friendly.

 

Molte le collaborazioni che hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto: l’Associazione italiana dei ristoratori, guidata da suo presidente Giuseppe Pinzino, coordina il personale di sala e cucina; l’associazione “Vita Nova” si occupa del tutoraggio dei ragazzi con disabilità e il Gruppo di acquisto solidale “Bio…logico GAS” della qualità delle materie prime. Infatti il progetto predilige cibi a km zero e biologici, promuovendo i prodotti del territorio e uno stile di vita sano. L’organizzazione degli eventi, che spaziano dall’intrattenimento alla musica classica o al rock, è affidata al direttore artistico Ernesto Trapanese.

 

“Un posto tranquillo” è uno spazio dove tante persone vivono una nuova chance di vita. Dove gli ospiti ma anche il personale hanno modo di rivalutare il concetto stesso di disabilità e di autonomia. Come nel caso delle donne vittime di violenza, che grazie all’impegno lavorativo imparano il vero significato della libertà e della ricostruzione della propria identità per lungo tempo vessata da mortificazione e violenze. “È una nuova frontiera– conclude Ruvolo – che abbatte i principi dell’assistenza sociale pura e ci permette, ad esempio, di investire in una comunità per minori stranieri non accompagnati, come è già successo. Il nostro ideale più grande è vedere crescere la percentuale di inserimento lavorativo tra i meno fortunati, anche per la soddisfazione delle loro famiglie”. (Fonte: redattore sociale.it)

 

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