Lusetti: “Un anno è troppo lungo, sostenere potere d’acquisto degli italiani per scongiurare guai peggiori”
Il progressivo ripristino del funzionamento delle catene del valore e il rallentamento dell’economia mondiale contribuiscono alla riduzione delle quotazioni in dollari di molte commodity industriali e alimentari nei mercati internazionali, lasciando intravvedere la possibilità di contributi via via minori di questi prodotti nella formazione dei prezzi.
Ma se negli USA questa tendenza si sta già trasferendo lungo tutte le filiere di produzione e distribuzione, fino ai prezzi al consumo, in Europa, anche per l’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro che attenua la flessione dei prezzi delle commodity in valuta nazionale, probabilmente l’inflazione non ha ancora raggiunto il picco e non si delineano le condizioni per un suo rapido rientro il prossimo anno.
È quanto emerge dal report “In calo i prezzi internazionali delle commodity, ma non in misura sufficiente per una rapida riduzione dell’inflazione in Europa”, realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Monitor Fase 4, frutto della collaborazione tra AreaStudi Legacoop e Prometeia.
Il report evidenzia come da aprile i prezzi internazionali in dollari delle materie prime, soprattutto le materie prime industriali, siano in calo per una serie di motivi: il rilassamento delle restrizioni per contenere la diffusione del Covid ha agevolato il ripristino delle catene del valore e la normalizzazione della logistica mondiale; sono aumentate le attese di rallentamento della crescita economica per gli effetti negativi sui consumi e gli investimenti esercitati dall’alta inflazione ma anche per gli effetti della restrizione monetaria implementata nei principali paesi per riportare al più presto l’inflazione vicina all’obiettivo. Inoltre, la frenata dell’attività economica e la debolezza della domanda cinese hanno contribuito a raffreddare la domanda mondiale di metalli (alluminio, rame, minerali di ferro) e, più in generale, di materie prime industriali. In calo anche i prezzi internazionali dei prodotti agricoli/alimentari, per alcuni dei quali, però, continua e continuerà a rilevare il ruolo centrale come produttori ed esportatori di Russia ed Ucraina, che contribuisce a mantenere i prezzi su valori di massimo storico. È il caso dell’olio di girasole passato dai 75 euro per tonnellata metrica dell’ottobre 2018 ai 175 euro dell’ottobre 2022 (con un picco di oltre 250 euro a settembre), e dell’urea, passata dai 70 euro per tonnellata metrica dell’ottobre 2018 ai 330 euro per tonnellata metrica di ottobre 2022 (con un picco di oltre 400 euro a settembre). Dinamica analoga per il grano, la cui persistenza su valori di massimo storico del prezzo, dai poco più di 100 euro allo staio di ottobre 2018 ai 180 euro di ottobre 2022 (con un picco di 230 euro a settembre) è riconducibile alla eccezionale siccità di quest’anno ed ai più elevati costi di produzione.
Una situazione internazionale che, sottolinea il report di AreaStudi Legacoop e Prometeia, ha riflessi diversi negli USA e in Europa. Negli Sati Uniti l’inflazione si è ridotta (su base annua, dal 9,1% di giugno al 7,7% di ottobre 2022), oltre che per la riduzione dei prezzi delle materie prime, per il ritorno dei costi di trasporto su valori pre-Covid e per il rafforzamento del dollaro. In Europa gli effetti disinflazionistici esercitati dalla riduzione dei prezzi internazionali delle materie prime sono in parte compensati dall’aumento del prezzo del gas (che dopo aver raggiunto picchi di oltre 250 dollari a MWh nel mese di novembre si è comunque riportato a circa 75 dollari) e dall’incertezza che contraddistinguerà ancora i mesi invernali, dall’indebolimento dell’euro sul dollaro e, rispetto agli USA, dalla maggiore dipendenza da Russia e Ucraina come mercato di origine di alcuni prodotti agricoli. In proposito, il report di AreaStudi Legacoop e Prometeia evidenzia come in Europa i prezzi al consumo siano cresciuti di 11 punti percentuali da ottobre 2020 a ottobre 2022, mentre i prezzi alla produzione sono cresciuti del 44% da settembre 2020 a settembre 2022.
“Fin dall’inizio dell’anno abbiamo temuto ciò che oggi è purtroppo una certezza” – dichiara Mauro Lusetti, presidente di Legacoop” – ossia che l’impennata dell’inflazione fosse un fenomeno temporaneo, sì, ma non di così breve durata da non sferzare duramente i bilanci delle famiglie italiane già provate dalla crisi. Ci faceva da guida, in ciò, proprio il crollo di fiducia dei consumatori che per primi, molto in anticipo sul sistema produttivo italiano, si sono accorti della rapidità e della violenza dell’impatto dei rincari sul loro tenore di vita. Ancora oggi, siamo certi che le statistiche ufficiali sottostimino decisamente l’entità di questi aumenti. Proprio misurando le dimensioni di tale urto sui cittadini, abbiamo più volte richiesto misure straordinarie, “di emergenza”, a sostegno del potere d’acquisto del due terzi di italiani che si considerano in una situazione “problematica”. Ora sappiamo che il picco è stato valicato negli Usa, e che tra poco, guerra permettendo, probabilmente scollineremo pure in Europa; ma sappiamo pure che tutto il prossimo anno, anche ipotizzando un auspicabile ritorno alla pace, servirà per rientrare lentamente a una situazione di normalità anche dei prezzi. È un tempo lungo: i bilanci delle famiglie italiane sono troppo in tensione, quindi questo è l’arco temporale su cui occorre concentrare misure di sostegno pubblico al potere d’acquisto degli italiani per scongiurare guai peggiori”.
In questa situazione, infatti, non vi sono le condizioni per un rapido rientro dell’inflazione europea nel corso del prossimo anno. Il report di AreaStudi Legacoop e Prometeia evidenzia, infatti, come la necessità di continuare a sostituire il gas russo con altre fonti (con l’eventuale aggravante di un inverno rigido) contribuirà a mantenere i prezzi di metano ed elettricità su livelli elevati in Europa. Sui mercati petroliferi, la ripartenza della domanda e un’offerta molto meno «elastica» rispetto al passato impediranno un rientro significativo del prezzo del Brent. Per quanto riguarda le commodity industriali (metalli in primo luogo) la maggior domanda indotta dalla transizione energetica sosterrà consumi e prezzi (“greenflation”).
Complice anche il dollaro forte, l’Indice Prometeia-APPIA in euro dei prezzi delle commodity (sintesi del prezzo del paniere di materie prime acquistate dalle imprese manifatturiere italiane) è previsto rientrare dai picchi del 2022, ma a ritmi molto moderati, ostacolando il rientro delle tensioni inflazionistiche. In particolare, schizzato al valore di 240 nel 2022 (era 100 nel 2020), l’indice è previsto in calo del 3.5% nel 2023, mentre nel 2024 dovrebbe segnare una riduzione più marcata (-10.6%).