Rapporto Area Studi Legacoop-Prometeia
Sulla scia di un 2024 che ha visto infrangersi il sogno di un’economia in grado di mantenere un passo più spedito rispetto al passato, l’Italia entra in condizioni di debolezza nel 2025, per il quale si conferma una crescita del PIL a +0.5%. Le ragioni sono da ricercare nel venir meno degli effetti espansivi del Superbonus 110% (già in contrazione nel 2024), che determina un rimbalzo negativo degli investimenti in costruzioni non compensato interamente né dagli investimenti privati né dal contributo alla domanda interna degli interventi del PNRR (nonostante il raggiungimento degli obiettivi in linea con il cronoprogramma); nella persistente debolezza dell’economia tedesca e nel rischio di inasprimento della politica commerciale USA che frenano le esportazioni e alimentano i timori delle imprese italiane, con conseguente stallo degli investimenti nonostante il minor costo del credito; in una crescita relativamente debole dei consumi delle famiglie che, pur avendo registrato un recupero del potere d’acquisto stimato intorno al 3%, hanno aumentato la propensione al risparmio con l’obiettivo di ripristinare il valore della ricchezza finanziaria erosa dall’inflazione. Solo dal prossimo anno è previsto che il PIL torni a crescere sui ritmi medi pre-crisi (+0.8%, ma ancora a +0.5% nel 2027) con un’inflazione che, pur in risalita di qualche decimo per effetto di possibili aumenti dei costi dell’energia, si attesterà su valori in linea con l’obiettivo del 2% della BCE (+1,9% nel 2025; + 2,1% nel 2026; +2.0% nel 2027).
Sono alcune delle principali evidenze sulle prospettive dell’economia italiana per il triennio 2025-2027 contenute nel Rapporto annuale elaborato da Area Studi Legacoop in collaborazione con Prometeia.
“Con la fine della fase post-pandemica, è archiviato il sogno di un’economia sostenuta, lasciando spazio a un contesto di incertezze e debolezze strutturali”, commenta Simone Gamberini, presidente di Legacoop. “Le prospettive italiane -prosegue- appaiono modeste, con una crescita del PIL prevista a +0,5% nel 2025 e un recupero solo parziale nei successivi anni, trainato da un’inflazione stabile e da un lento aumento dei salari, ma frenato da investimenti deboli e incertezze internazionali. Il governo convochi le imprese e i sindacati per confrontarsi sull’emergenza economica in atto e per definire un patto per il lavoro e lo sviluppo. Crescita quasi a zero, costi dell’energia, investimenti stagnanti, salari quasi fermi, produzione industriale in calo, guerra commerciale in arrivo, richiedono l’individuazione di strategie e politiche condivise per la crescita dell’economia italiana. Come sottolineato nel rapporto, è urgente adottare politiche salariali che favoriscano il recupero del potere d’acquisto delle famiglie, insieme a politiche attive per riequilibrare il mercato del lavoro. Solo attraverso interventi mirati, nel campo dell’istruzione e della formazione, per il miglioramento delle competenze, l’incentivazione della partecipazione femminile e l’inclusione di nuova manodopera, si potrà affrontare il mismatch occupazionale e sostenere una ripresa economica duratura. La sfida è complessa, ma necessaria per garantire la continuità del nostro sistema produttivo e un futuro più stabile e inclusivo”.
In riferimento all’evoluzione delle principali variabili che influenzano le dinamiche dell’economia, il Rapporto mette in evidenza come, con l’esaurirsi della stagione invernale e l‘aumento dell’offerta legato al completo funzionamento degli impianti di rigassificazione in Europa, siano previste in rientro le quotazioni del gas nel mercato TTF su valori in progressiva discesa fino ai 34.6 Euro al MWh nel 2027, e come l’abbondante offerta non-OPEC e il ruolo calmieratore dell’Arabia Saudita contribuiscano a mantenere sostanzialmente stabile il prezzo del greggio nel 2025. Sul piano della politica monetaria, con tassi di inflazione sostanzialmente in linea con gli obiettivi di stabilità dei prezzi della BCE in tutta l’area euro e rischi contenuti di second round, la BCE taglierà ulteriormente i tassi, sino a portare al 2% quello sulla remunerazione dei depositi entro giugno. Da segnalare, però, che la riduzione del portafoglio titoli della BCE, insieme con i vincoli strutturali della nostra economia e l’elevato debito pubblico, torneranno ad ampliare lo spread BTP-Bund, che si prevede in crescita in media di circa 25 punti base nel corso del triennio. Come già anticipato, l’inflazione in Italia è attesa in risalita di qualche decimo, ma comunque senza allontanarsi in modo preoccupante dall’obiettivo della BCE intorno al 2%: un livello che è previsto si mantenga nel triennio, in assenza di ulteriori shock e nell’ipotesi che l’eventuale imposizione di dazi non eserciti impatti rilevanti sui prezzi alle importazioni.
Quello dei dazi è sicuramente un tema molto sensibile per i suoi potenziali effetti negativi. Il rischio di eventuali aumenti delle tariffe doganali da parte degli Stati Uniti -anche se le dichiarazioni più recenti hanno reso evidente, in riferimento al Canada e al Messico, il carattere strumentale dell’annuncio di tali misure finalizzato ad ottenere maggiore cooperazione in campi diversi dal commercio- è concreto anche per Europa e Italia, in ragione del surplus commerciale vantato nei confronti degli USA. Un rischio la cui percezione è aumentata esponenzialmente nel corso della seconda metà del 2024: l’indicatore di incertezza sulle politiche commerciali è cresciuto di oltre 200 punti da maggio a dicembre. E, tra i paesi UE, dopo la Germania, l’Italia è la più esposta in termini di valore di beni esportati negli USA. Nel 2024 il nostro Paese ha registrato un saldo attivo della bilancia commerciale con gli Stati Uniti che ha superato i 34 miliardi di euro (40 nel 2022, 42 nel 2023), con il 60% circa delle nostre esportazioni costituito da prodotti alimentari, macchinari, mezzi di trasporto e farmaceutica.
Sul fronte dei consumi, il Rapporto evidenzia come l’inflazione stabile ed il lento aumento dei salari consentono, nell’arco del triennio, un modesto recupero del potere d’acquisto delle famiglie, con un altrettanto modesto aumento della spesa per consumi. Nel 2025 è previsto un aumento complessivo dello 0,8%, che sale verso l’1% nel 2026 e 2027, con un aumento più marcato per i consumi di servizi. La propensione al risparmio è comunque destinata a restare superiore ai livelli pre-crisi.
Per quanto riguarda gli investimenti, al netto dell’eventuale penalizzazione dei prodotti europei determinata da un aumento generalizzato dei dazi da parte degli USA, è prevista una ripresa di quelli in beni strumentali, la cui ripresa dovrebbe accelerare dall’1,9% nel 2025 al 4% nel 2026. Anche per il settore delle costruzioni il PNRR contribuirà ad attenuare gli effetti negativi sul PIL legati all’intensa contrazione di quelli residenziali, il cui livello rimarrà comunque elevato grazie alle ristrutturazioni necessarie per il mantenimento di un patrimonio abitativo vetusto e per l’efficientamento energetico.
Lo studio contiene anche un focus sulla riduzione della popolazione e il mismatch nel mercato del lavoro. Tra il 2023 e il 2030, la popolazione totale diminuirà di 805mila unità e si accentuerà la ricollocazione tra classi di età: gli individui con almeno 65 anni di età aumenteranno di circa 1,5 milioni di unità, mentre quelli in età lavorativa (15-64 anni) diminuiranno per un ammontare pressoché corrispondente. Una pressione aggiuntiva è quella esercitata dal pensionamento dei baby boomers, destinata a crescere nei prossimi anni. Il risultato di questa dinamica è un mismatch numerico tra il numero delle nuove entrate e il numero delle uscite dal mercato del lavoro. Lo studio stima un divario negativo di circa 100mila persone in media all’anno, evidenziando anche che escono lavoratori con bassa istruzione ed entrano lavoratori con istruzione elevata. Un fenomeno che è alla base della difficoltà delle imprese a trovare lavoratori, soprattutto nel settore dei servizi, dove il 39% delle imprese segnala la carenza di lavoratori come principale ostacolo all’attività. Il mercato del lavoro è insomma caratterizzato da una quota crescente di domanda insoddisfatta.
In realtà, in Italia esiste un’ampia disponibilità di forza lavoro potenziale alla quale si potrebbe attingere, ma nonostante l’elevato bacino di lavoratori disoccupati e inattivi, in particolare donne giovani residenti al Sud, le imprese faticano a trovare lavoratori con le giuste competenze. Questo squilibrio è dovuto principalmente alle disparità educative, di genere e geografiche. Da qui la necessità di interventi sul piano dell’istruzione per favorire l’allineamento con le esigenze del mercato del lavoro, degli incentivi per favorire la partecipazione delle donne al lavoro, delle misure per incoraggiare la mobilità dei lavoratori.